Il romanzo della pandemia/Le roman de la pandémie

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Oggi, 20 agosto 2025, esce in Francia quello che a me pare essere finalmente “il romanzo” della pandemia. Si intitola L’adieu au visage, lo ha scritto David Deneufgermain lo pubblica la casa editrice Marchialy di Parigi. Lo considero davvero il romanzo finora essenziale, unico, in grado di raccontare ciò che ci è successo nel 2020. Certo, non ho letto forse tutto ciò che fino a oggi è stato pubblicato sul tema, ma se avrete modo di leggere questo libro, vi renderete conto di quanto sia prezioso, di quanto sia nostro. È vero, sono di parte. Sono stato io a invitare David, nel marzo 2020, a scrivere del Covid-19, e il romanzo lo ha interamente scritto durante il laboratorio di scrittura online e in presenza organizzato dalla Librairie Meura, a Lille. Talmente di parte, io, anche perché David Deneufgermain ha addirittura voluto dedicarmelo, il libro. Esagerato. Ho raccontato questa preziosa esperienza di scrittura nella postfazione che poi l’editore ha deciso di non inserire nel libro. La pubblico qui. Insieme al link con la traduzione del capitolo che dà il titolo al romanzo, pubblicata su il primo amore.com e tradotto da Giorgio Parentela. Pubblico anche la traduzione in francese della postfazione fatta da David Galati. Ci penso io, invece, a tradurre questa breve introduzione, scusandomi per gli strafalcioni.

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Aujourd’hui, 20 août 2025, ce qui me semble être enfin “le roman” de la pandémie sort en France. Il s’intitule L’adieu au visage, il a été écrit par David Deneufgermain et il est publié par la maison d’édition Marchialy à Paris. Je considère vraiment ce roman, essentiel et unique, capable de raconter ce qui nous est arrivé en 2020. Bien sûr, je n’ai peut-être pas lu tout ce qui a été publié sur le sujet, mais si vous avez l’occasion de lire ce livre, vous vous rendrez compte à quel point il est précieux, à quel point il est à nous. C’est vrai, je suis partial. C’est moi qui ai invité David, en mars 2020, à écrire sur le Covid-19, roman qu’il a entièrement écrit lors de l’atelier d’écriture en ligne et en présentiel organisé par la Librairie Meura, à Lille. Tellement partial, moi, aussi parce que David Deneufgermain a voulu me dédier le livre. Outré. J’ai raconté cette précieuse expérience d’écriture dans la postface que l’éditeur a ensuite décidé de ne pas insérer. Je la publie ici. Avec le lien de la traduction italienne du chapitre qui donne le titre au livre, publié sur il primo amore.com et traduit par Giorgio Parentela. Je publie également la traduction française de la postface faite par David Galati. En revanche, je m’occupe de traduire cette brève introduction, en m’excusant pour les fautes.

🇮🇹🇮🇹🇮🇹 Il romanzo della pandemia

Dire che questo libro non esisterebbe se non ci fosse stata la pandemia, è un’ovvietà. A volte mi chiedo quale sarebbe stato il libro d’esordio di David, senza il Covid. Perché la cosa certa è che David Deneufgermain è uno scrittore vero, e questo non è un libro d’occasione, ma vera letteratura. Di lui mi ha colpito subito la voce, il dna di un autore, ciò che lo rende riconoscibile fra tutti. L’ho incontrato nel 2018 alla Librairie Meura, a Lille, dove Lilya Aït Menguellet mi aveva invitato a animare un atelier di scrittura. Doveva trattarsi di un episodio, e invece quell’esperienza continua ancor oggi. Sia in presenza che online.

All’inizio ci si vedeva in libreria ogni due, tre mesi. Poi, come tutti, siamo stati sopraffatti dal virus e tutto si è interrotto. Avevamo avuto il nostro atelier a fine gennaio 2020 e sarei dovuto tornare a fine marzo, e invece prima è stata confinata l’Italia, poi la Francia, poi il mondo intero. A Venezia, a fine febbraio, è stato sospeso il Carnevale e la notizia fece il giro del mondo. L’università di Padova, in cui dal 2002 insegno Création Littéraire, ha subito sospeso i corsi ed era già pronta la piattaforma per le lezioni online, che iniziammo già una settimana prima del confinamento. Il quotidiano Le Monde mi chiese di scrivere una tribune in cui raccontare Venezia vuota, chiusa. Erano giorni in cui sembrava che la cosa riguardasse solo la Cina e noi italiani. Anche il redattore di Le Monde si rivolgeva a me come se quello che stavamo vivendo soprattutto nel Veneto riguardasse soltanto noi, e forse lo credevo anch’io. O ci speravo. E invece. Nella tribune, a un certo punto scrissi: “Ai miei studenti di scrittura creativa ho chiesto di iniziare a tenere un diario. Tutti dovremmo farlo. Stiamo vivendo un momento drammatico, certo, e però storico. Ci siamo ritrovati dalla sera alla mattina dentro a una quotidianità diventata anomala, straniante, incomprensibile. Le nostre vite stravolte. Raccontatela, gli ho proposto, per voi stessi, anzitutto, e per chi magari fra qualche anno vi leggerà e avrà bisogno di capirli, i giorni lontani del Coronavirus”. Qualche giorno dopo, di domenica sera, iniziammo l’atelier Meura online. Anche a loro suggerii la stessa cosa proposta ai miei studenti di Padova. La stessa cosa che stavo facendo io, un journal intime. Credo che David Deneufgermain avesse già iniziato ad annotare ciò che gli stava accadendo. Mentre noi eravamo alle prese con le riunioni online, gli aperitivi su Zoom, con i turni per fare la spesa, con la caccia alle mascherine inesistenti, mentre litigavamo nel suddividere casa in spazi indipendenti per ogni elemento della famiglia, David stava al fronte, nel cuore della pandemia. Era uno di coloro che subito abbiamo definito eroi, che celebravamo e ringraziavamo tutte le sere dalle finestre di casa, applaudendo, cantando, sperando che quegli eroi ci liberassero dal virus il più in fretta possibile. David lavorava in ospedale, girava come operatore per le strade di Valenciennes a dare conforto e aiuto agli Sdf, seguiva i suoi pazienti del cabinet via Zoom. David, come tutti gli operatori sanitari in quei mesi, ne aveva tante di storie da raccontare. Solo che, a differenza degli altri, lui era anche in grado di scriverle quelle storie, di metterle su carta, di strutturarle, di trasformarle in quel prezioso oggetto che ora tenete fra le mani.

Quando dopo poche settimane, ci ha letto la prima versione di L’adieu au visage (che io subito feci tradurre in italiano, ritenendolo – ancor oggi – il più bello e commovente racconto di quei giorni terribili) restammo tutti colpiti. Nessuno, tantomeno David, si immaginava che avrebbe fatto parte di un progetto molto più ampio, ora raccolto in questo libro. Di certo posso dire che funzionò da stimolo per tutto il gruppo. E viceversa. Sì, perché il gruppo dell’Atelier Meura funziona fin dall’inizio come un formidabile stimolo reciproco, ciascuno porta avanti i propri progetti, li propone agli altri e se ne discute insieme. Si potrebbe quasi poter dire, forzando un po’ il senso, che L’adieu au visage è un libro collettivo. Ovviamente non è così, ma questa forzatura credo serva a far capire l’alchimia che si è formata in questi anni grazie all’apporto di tutti i partecipanti.

Non voglio entrare nel merito del libro, ci vorrebbero pagine e pagine e non è compito mio farlo, ci penseranno altri, perché credo che questo testo che sfugge a ogni tipo di categorizzazione (romanzo? Récit? Memoir? Autobiographie? Poco importa…), sia un grande libro, sia vera letteratura, con una qualità della scrittura assai elevata. Ma sono di parte, perciò mi fermo qui con i giudizi. Concludo dicendo che per me, questo libro, oltre che una grandissima soddisfazione è anche la conferma che gli atelier di scrittura, se strutturati in un certo modo, possono anche produrre libri belli e importanti, come L’adieu au visage, di David Deneufgermain.

🇫🇷🇫🇷🇫🇷 Le roman de la pandémie

Dire que ce livre n’existerait pas s’il n’y avait eu la pandémie, c’est une évidence. Je me demande parfois ce qu’aurait été le premier livre de David, sans le Covid. Parce qu’il est certain que David Deneufgermain est un véritable écrivain, et que ce n’est pas ici un livre de circonstance, mais de la vraie littérature. Ce qui m’a instantanément frappé chez lui c’est la voix, l’ADN d’un auteur, ce qui le rend reconnaissable entre tous. Je l’ai rencontré en 2018 à la Librairie Meura, à Lille, où Lilya Aït Menguellet m’avait invité à animer un atelier d’écriture. Il devait s’agir d’un évènement occasionnel, et pourtant cette expérience perdure encore aujourd’hui. Aussi bien en présentiel qu’en ligne.

Au début on se voyait en librairie tous les deux, trois mois. Puis, comme tout le monde, nous avons été assujettis au virus et tout s’est interrompu. Nous avions eu notre atelier à la fin janvier, il aurait dû y en avoir de nouveau un à la fin mars, sauf que l’Italie a été confinée en premier, puis la France, puis le monde entier. À Venise, à la fin février, le Carnaval a été suspendu et la nouvelle fit le tour du monde. L’université de Padoue, où j’enseigne depuis 2002 la Création Littéraire, a immédiatement suspendu les cours. La plateforme pour les cours en ligne était déjà prête, nous l’utilisions d’ailleurs une semaine avant le confinement. Le quotidien Le Monde me demanda d’écrire une tribune pour y raconter Venise vide, fermée. C’étaient des jours où il semblait que la chose ne concernait que la Chine et nous les Italiens. Même le rédacteur en chef du Monde s’adressait à moi comme si ce que nous vivions, surtout en Vénétie, ne concernait que nous, et peut-être le croyais-je aussi. Ou l’espérais-je. Et pourtant. Dans la tribune, à un certain point j’ai écrit : « J’ai demandé à mes étudiants de l’atelier d’écriture de commencer à tenir un journal. Tout le monde devrait le faire. Nous traversons un moment dramatique certes, mais historique. Du jour au lendemain, notre vie quotidienne est devenue singulière, étrange et incompréhensible. Nos vies sont bouleversées, racontez-le, leur ai-je proposé, d’abord pour vous-mêmes mais aussi pour ceux, qui, dans des années, vous liront et auront besoin de comprendre les jours lointains du coronavirus ». Quelques jours plus tard, le dimanche soir, nous commencions l’atelier Meura en ligne. J’y ai suggéré la même chose qu’à mes étudiants de Padoue. Cette chose que je faisais moi-même, un journal intime. Je crois que David Deneufgermain avait déjà commencé à noter ce qui lui arrivait. Tandis que nous étions occupés par les réunions en ligne, les apéritifs sur Zoom, par les tours pour aller faire les courses, la chasse aux masques inexistants, pendant qu’on se chamaillait sur la subdivision de la maison en espaces indépendants pour chaque membre de la famille, David était sur le front, au coeur de la pandémie. Il était l’un de ceux que nous avons de suite qualifiés de héros, que nous célébrions et remercions tous les soirs depuis nos fenêtres, applaudissant, chantant, espérant que ces héros nous libèrent du virus le plus vite possible. David travaillait à l’hôpital, il tournait en tant que soignant dans les rues de Valenciennes pour prêter assistance et secours aux SDF, il suivait les patients de son cabinet via Zoom. David, comme tous les professionnels de santé durant ces mois, avait beaucoup d’histoires à raconter. Sauf que, contrairement aux autres, lui était en mesure d’écrire ces histoires, de les mettre sur le papier, de les agencer, de les transformer en ce précieux objet que vous tenez désormais entre les mains.

Quand après quelques semaines, il nous a lu la première version de L’adieu au visage (que j’ai immédiatement fait traduire en italien, le considérant – aujourd’hui encore – comme le plus beau et le plus bouleversant récit de ces jours terribles) nous sommes tous demeurés saisis. Personne, pas même David, ne s’est imaginé qu’il serait partie prenante d’un projet de bien plus grande ampleur, maintenant renfermé dans ce livre. Je peux avec certitude dire que cela a fonctionné comme un stimulus pour tout le groupe. Et réciproquement. Oui, parce que le groupe de l’Atelier Meura opère depuis le début comme un formidable stimulant mutuel, chacun fait avancer ses projets, les présente aux autres et on en discute ensemble. On pourrait presque dire, en forçant un peu le trait, que L’adieu au visage est un livre collectif. Ce n’est évidemment pas le cas, mais je pense que cette exagération permet de faire comprendre l’alchimie qui s’est formée durant ces années grâce à la contribution de tous les participants.

Je ne veux pas entrer dans le fond du livre, il y faudrait des pages et des pages et ce n’est pas ici à moi de le faire, d’autres s’en chargeront, parce que je crois que ce texte qui échappe à toute catégorisation (roman ? récit ? mémoires ? autobiographie ? peu importe) est un grand livre, est de la vraie littérature, d’une qualité d’écriture particulièrement élevée. Mais je suis de parti pris, donc je m’arrête ici avec les jugements et conclus, dans le même temps, en disant que, pour moi, ce livre est non seulement une très grande satisfaction mais aussi la confirmation que les ateliers d’écriture, s’ils sont organisés d’une certaine manière, peuvent également produire des livres beaux et importants, comme L’adieu au visage de David Deneufgermain.

(Traduction de l’italien : David Galati)