Questo articolo è uscito sui quotidiani del gruppo Nordest Multimedia il giorno dopo la vittoria agli Australia Open, nel gennaio 2024. In arrivo quello su Wimbledon.
Epico. Jannik Sinner è stato epico nella finale che lo ha visto vincere, ieri, il suo primo torneo dello Slam. Quarantotto anni dopo Adriano Panatta, che vinse al Roland Garros. Era il 1976 e la finale l’avevamo vista in bianco e nero. È cambiato il mondo nel frattempo, in meglio o in peggio, chissà. Ed è cambiato del tutto il tennis, che oggi va almeno tre volte più veloce di allora. Epico, sì, Jannik Sinner, nessuna esagerazione, stavolta, ché, si sa, spesso nello sport si fa abuso di aggettivi altisonanti, quasi sempre fuori luogo. No, stavolta la finale degli Australian Open del 2024 è stata davvero indimenticabile. Si fosse giocata alla stessa ora della semifinale con Djokovic, allo scoccare della seconda ora, con Sinner sotto di due set, incapace di qualunque tipo di reazione davanti all’aggressività di Daniil Medvedev, avremmo forse spento tutto e saremmo ritornati a dormire. Ma alle 11.30 del mattino si poteva resistere, ci si poteva ancora aggrappare a qualcosa, anche se non si riusciva nemmeno lontanamente a intravedere che cosa. Intanto cercavamo le cause a quella situazione. La più ovvia e comunque più facilmente reversibile e perciò rassicurante era l’emozione per la prima finale Slam, che sembrava averlo paralizzato. Abbiamo ripetuto dentro di noi come un mantra che adesso gli passa, adesso gli passa. Ma non passava, e come ha detto lui “nei primi due set non ho visto palla”. I gesti scaramantici si sono sprecati, ma uno – devo confessarlo – alla fine ha funzionato: ho preso dalla libreria un libro di Gianni Clerici, il maestro del tennis narrato, e da lì è incominciata lenta la risalita, “punto dopo punto” suggeriva Vagnozzi a Sinner dagli spalti, e pazienza se alla fine avremmo pranzato verso le tre, mica potevamo perderci la premiazione e le interviste.

Questa volta, al punto del match point, si è lasciato andare, letteralmente, è crollato a terra, steso a braccia larghe, probabilmente più per la stanchezza che per la gioia. Poi la scalata in tribuna, verso il suo team, a nascondere – sembrava, pensavamo – le lacrime sulle spalle di Simone Vagnozzi e di Darren Cahill. Sembrava, perché poi, tornato giù, nessuna traccia di commozione, nemmeno questa volta. Tanta fatica, alla fine, anche per noi, quattro ore davanti alla tv, prima delusi, rassegnati per oltre due ore, increduli dopo un paio di settimane giocate in maniera impeccabile da Sinner, e i tre set finali, dopo. In mezzo, momenti, tanti piccoli momenti, tipo quando, dopo il punto più bello giocato da Sinner, nel quinto set, è stato inquadrato Rod Laver – splendido ottantaseienne, unico vincitore del Grande Slam – che applaudiva con convinzione, sorridendo. Sorridono, i veri campioni, niente urla, niente esagerazioni. Vincere è il loro mestiere. Il mestiere di Jannik Sinner.